Oggi compi gli anni, mi pare. Fosse toccato a me sarei morto suicida già da un pezzo. Troppo prossimo al Natale, per i miei gusti. La neve si scioglie scura sul marciapiede e non aiuta. L’accendino fa le bizze. Fa anche freddo, ma non è quello. A te piace il freddo, a me no. No, non è il freddo. Non so cos’è, esattamente. Saranno forse gli occhi nocciola tagliati strani, larghi sopra gli zigomi alti ma morbidi. Sarà la fronte chiara, che tu pensi leggerci dentro è facile invece no, ti perdi. Sarà quell’ondeggiare particolare quando cammini. Sì, ondeggi quando cammini, non negare, ti ho vista. Sarà quello stringerti nelle spalle quando sorridi. Ah! Quando sorridi! Sarà come riempi di te anche le chiacchiere più frivole. Sarà il modo particolare di come occupi lo spazio, che sembri voler sparire e invece non ti riesce. Sì, sarà questa lotta tra la distanza e la prossimità che ti rende attraente.
Io e te non ci conosciamo granché, anzi, quasi per niente.
Com’era la musica ieri sera? Ti immagino vestita scura, con le calze spesse e gli stivali bassi, chiusa nel mezzo del palco, col naso arrossato dal freddo sulla pelle chiara, sognante. Più di questo non riesco ad immaginare. Mi piacerebbe riuscire ad immaginare, ad esempio, come siedi sul divano. Mi piacerebbe sapere come accavalli le gambe sotto il tavolo, come accarezzi il tuo gatto. Non so, ad esempio, mi piacerebbe sapere dove abiti, come dormi, dove tieni lo zucchero e la marmellata. Mi piacerebbe conoscere quale gusto di caramelle preferisci. Non so niente di te. Non so niente ma ti sento triste, di una tristezza che non conosco. Ognuno è triste a modo suo. La tristezza è una cosa privata, personale.
Suono il campanello di casa tua. Non mi aspetti e sei ancora assonnata, appena uscita dal caldo del sonno. Ti ho portato le paste, per festeggiare. La torta non mi piace, sempre troppo uguale. Preparo il caffè mentre sei in bagno e penso che vorrei alleviare la tua tristezza e anche la mia. La cura per alleviare due tristezze è come preparare un buon caffè, penso. Potrei versare la mia tristezza dentro la tua fino a riempirla, mandarla a fondo, giù in basso nel filtro bucherellato, riempire l’acqua, non troppa, accendere il fornello e una sigaretta. Aspettare.
Se non ho sbagliato quei pochi e semplici gesti, tra un po’ sentiremo il rumore di un sospiro, poi un buon profumo e poi lo scorrere di un liquido denso e caldo che riempie tutto e si espande fino all’orlo. Non so, questa cosa del caffè assomiglia molto ad una stupida metafora d’amore. Le metafore son perlopiù stupide a quest’ora del mattino. Mi è venuta, intanto, una grande voglia di caffè. Il solo fatto che pensi questa cosa, che ti faccia le metafore, a quest’ora del mattino, prima del caffè, la dice lunga. Secondo me, questa cosa del caffè, la metafora stupida, dovrebbe bastare ad alleviare la tua tristezza e anche la mia, poi, se così non fosse, c’è sempre il caffè. Ne possiamo preparare anche un altro, se vuoi.